di Francesca Pastorelli

 

Nell’ottobre del 2004, grazie a Diego, mio compagno di Dojo, ma ancor prima mio marito ho avuto la grandissima fortuna di incrociare la strada del Maestro Schetto.
Tutto è nato per caso (ma sarà poi stato un caso?): proprio quando cercavamo un’attività sportiva per nostra figlia Matilde, Diego ha letto un cartellone pubblicitario dell’Heijo Shin Dojo.
Io non avevo una  conoscenza approfondita di questa disciplina mentre lui, fin da piccolo avrebbe voluto praticarla; per cui  trascinati dal suo entusiasmo abbiamo assistito ad una lezione.
Forse è difficile da credere ma da subito sono rimasta affascinata dall’atmosfera: disciplina, educazione, umiltà e rispetto gli uni verso gli altri  e mi sono stupita che tutti assieme  seguissero la stessa lezione indipendentemente dal grado, dal sesso e dall’età.
Ho subito pensato a quanto mi sarebbe  piaciuto praticarlo ma mi tratteneva la vergogna di non essere all’altezza. Continuando ad assistere alle lezioni a cui partecipavano Diego e Matilde mi sono resa conto invece che nessuno era li per giudicare, ma tutti per aiutarsi a vicenda così ho vinto i miei timori e alla veneranda età di 37 anni mi sono iscritta.
Il mio entusiasmo per “la via del Karate” è scaturito dall’impronta umana e spirituale che il nostro Maestro riesce a dare ad ogni lezione: si parla di tecniche,  ma  mai viene trascurato l’aspetto umano. In lui ho riscontrato una sensibilità eccezionale verso gli stati d’animo di noi allievi, nulla gli sfugge (anche quando è girato di spalle!); riesce a percepire ogni piccola sfumatura e a dosare come un alchimista severità e gratificazioni.
Ogni lezione è diversa dall’altra  è  come una pietra preziosa che prendiamo e deponiamo nel nostro scrigno interiore, arricchendolo ogni volta con qualcosa di diverso; questo scrigno però non deve rimanere chiuso, il suo contenuto deve essere dispensato ogni volta che si renda necessario dentro e soprattutto fuori dal Dojo.
Chi pratica il Karate-do quindi può capire quanto frustrante può essere non potersi presentare ad uno degli  appuntamenti che scandiscono le nostre settimane, perché sappiamo che  mai come in questo caso calza il proverbio “ogni lasciata è persa”. Personalmente il “pensiero rinfrescante della lezione che verrà” (come l’ha definito una volta il nostro Maestro) mi ha aiutato a superare momenti di difficoltà e di stanchezza sia fisica che interiore, donandomi ogni volta una ventata di gioia ed entusiasmo simile a quella che da bambina provavo quando il giorno dopo dovevo andare in gita scolastica.
Un’altra cosa mi rende fiera di essere parte dell’Heijo Shin Dojo: i miei compagni.
Il nostro è un gruppo compatto e questo si vede sopratutto quando usciamo dalla nostra realtà per partecipare a gare o campionati; con una certa presunzione dico che ci distinguiamo e non per il numero delle vittorie, ma per l’educazione, l’umiltà, il rispetto. Durante le gare spiccano i nostri senpai che mai ci lasciano soli dispensandoci consigli e suggerimenti fino ad un secondo prima dell’hajime. Sul tatami c’è uno solo di noi, ma il suo kata o kumite in realtà è come se lo facessero anche tutti gli altri e questo lo si percepisce dai guizzi quasi impercettibili dei nostri muscoli.
Ora sono giunta al quarto anno di Karate: il mio rammarico è di non avere conosciuto prima questa disciplina così piena e meravigliosa (ma mi piace credere che sia arrivata proprio nel momento in cui ne avevo bisogno); la mia speranza invece è di riuscire a continuare il più a lungo possibile e se mai un giorno per cause di forza maggiore dovessi rinunciare spero che Matilde conservi l’entusiasmo di oggi.

Visto che qualcuno ha detto che ognuno ha il Maestro che si merita … beh io spero di meritarmi il Maestro Schetto almeno un pochino.

Oss!

Francesca Pastorelli
Allieva dell’Heijo Shin Dojo

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