di Romano Simoni

Ho rivisto recentemente con i miei studenti una scena del Film del 2004 Troy, libera rivisitazione dell’Iliade, per confrontarla col relativo passo omerico. L’episodio, notissimo, è quello del combattimento tra l’eroe troiano Ettore e il greco Achille raccontato nel libro XXII. La città di Troia è assediata da dieci anni; dopo una temporanea prevalenza dei Troiani, dovuta al rifiuto di combattere da parte dell’offeso Achille, l’uccisione dell’amico Patroclo spinge l’eroe greco, il guerriero più forte della sua generazione, a scendere di nuovo in campo. A farne le spese, tra moltissimi guerrieri senza fama, il campione troiano Ettore, il figlio del re di Toria Priamo. Nel poema (a differenza del film, in cui esce dalla città) Ettore rimane volontariamente fuori dalle mura, da solo, e affronta il nemico. La lotta è impari: Achille è un semidio ed è quasi invulnerabile (ad eccezione del famoso tallone), per questo Ettore inizialmente si sottrae al duello con la fuga (eliminata nella pellicola). Quando ritrova il suo coraggio inizia il combattimento, che gli è fatale: viene trafitto alla base del collo dall’asta del rivale mentre sta attaccando con la spada.

Nel film lo scontro si gioca tra due eroi che combattono a capo scoperto (in modo da mostrare il volto degli attori) e a distanza ravvicinata, con cortissime lance e con la spada; non solo: compiono dei balzi spettacolari, usano posizioni da affondo di scherma e, soprattutto Achille, attacchi e difese in equilibrio su una gamba sola, con un bilanciamento delle braccia che si trova nelle forme delle arti marziali cinesi, a noi familiari attraverso il cinema.

Ovviamente questo è non solo anacronistico ma assurdo. L’armatura omerica era molto pesante, anche perché non utilizzava il ferro ma il bronzo e doveva reggere a colpi diretti di spada, proprio come quella dei cavalieri medievali. Saltare sarebbe stato impossibile, se già era difficile correre con corazza, elmo, schinieri (parastinchi) e scudo. Dello scudo, poi, i due combattenti di Troy a un certo punto si liberano, cosa che nella mentalità greca arcaica sarebbe stata impensabile, perché avveniva solo quando occorreva appunto mettersi in salvo correndo, quindi era considerato disonorevole. Nessun guerriero, inoltre, avrebbe volontariamente rinunciato alla protezione dell’elmo. A differenza dei cavalieri medievali, e già dei guerrieri greci di età successiva, il combattimento avveniva a distanza: l’arma privilegiata del guerriero era infatti l’asta lunga (“dalla lunga ombra”, dice Omero), che veniva scagliata dopo essere stata impugnata nel baricentro a somiglianza di un giavellotto. Solo se questo tiro andava a vuoto, o perché il bersaglio veniva  mancato, o perché risultava inefficace (come capita in Omero al povero Ettore, che se la deve vedere con un nemico che oltre a tutto il resto ha anche delle armi sovrannaturali, forgiate dal dio Efesto), si faceva ricorso alla spada.

Ora, immagino che gli autori di Troy non presupponessero un pubblico al contempo conoscitore del testo omerico e appassionato di arti marziali; ma la considerazione che credo valga la pena di fare è piuttosto questa: ormai nel nostro immaginario il combattimento tra due avversari non può non riferirsi alle arti marziali orientali, e a quelle più spettacolari e acrobatiche (se è vero che in alcuni – brutti – film perfino l’attore e maestro di Aikido Steven Seagal viene costretto a sferrare calci, anziché limitarsi alle leve e proiezioni della sua disciplina, efficacissime ma apprezzabili solo da un praticante).

Eppure tutte le tecniche di combattimento armato nella storia hanno previsto anche competenze di lotta a mani nude: questo era vero per i samurai giapponesi, presso i quali nasce quel Ju jitsu che è alla base sia del Judo sia dell’Aikido, quanto per i cavalieri del nostro Quattrocento. Interessantissimo a questo proposito il trattato di Fiore dei Liberi, Flos duellatorum cum armis et sine armis (Ferrara, 1409-1410), che insegna agli uomini d’armi anche a colpire di mano e a gettare a terra l’avversario.

Non abbiamo nessun manuale di lotta disarmata dei tempi di Omero (e quando il poeta descrive gare di lotta o di pugilato nel libro XXIII dell’Iliade o nel XVIII dell’Odissea, non sembra conoscere una tecnica particolarmente raffinata, paragonabile ad una vera arte marziale), ma di certo, volendo proprio stravolgere il testo omerico, sarebbe stato più utile un coreografo esperto di Arti Marziali Storiche Europee  che di Wushu cinese.

Oss!

Romano Simoni
Allievo e Maestro Heijo Shin Dojo

Pin It on Pinterest

Share This