Kata (sequenza codificata di un insieme di tecniche)
Sebbene i kata codificati dallo stile Shotokan seguano come difficoltà tecniche i gradi in cui è suddivisa la pratica, ognuno di questi – da quelli di grado inferiore sino a quelli propri dei “Dan” – può essere interpretato dai karateka a seconda della loro esperienza e del livello tecnico raggiunto, sino a renderlo non una semplice “coreografia” ma un sentito combattimento contro avversari immaginari.
Ogni kata è composto da tecniche e movimenti raccolti in sequenze codificate tutte diverse tra loro, e che di là da un percorso logico danno la possibilità, inizialmente di temprare mente e corpo, e successivamente (a chi lo vuole) di percepire verità difficili da comprendere soltanto attraverso le parole o le teorie di qualcun’altro; per giungere a questa fase, però, bisogna prima attraversare lo studio e le difficoltà che ne derivano… ma in fondo cosa non è difficile quando il fine è quello di migliorarsi?
Certo sarà poi molto dura arrivare al traguardo per coloro che non riusciranno ad affrontare con tenacia e volontà i momenti che li spingono alla resa. E proprio perchè si sa che non è facile perseguire gli obiettivi che ci si prefigge, è necessaria una buona dose di sacrificio.
Nella delicata fase di apprendimento, bisognerebbe vivere lo studio dei kata come un’esperienza affascinante e al contempo stimolante, interiore dunque introspettiva, finalizzata ad evolvere il proprio stile curando l’estetica e la forma, ma soprattutto diretta alla crescita personale e spirituale, aspetto spesso sottovalutato.
Qualcosa mi induce dunque a rapportare in maniera spontanea le esperienze di Karate-do con quelle di vita quotidiana, poiché nella fase di crescita sussiste secondo me un costante parallelismo educativo tra la formazione dei kata ed il comportamento individuale che porta il karateka, nonché l’uomo, ad essere più reattivo nell’affrontare situazioni di difficoltà.
Allo stesso tempo un costante allenamento dei kata si rivela un ottimo esercizio per tonificare il fisico e per potenziarlo, mantenendo inalterato l’equilibrio del ciclo biologico del nostro corpo.
Successivamente, il raggiungimento di una forma migliore, di un tempismo più appropriato o di una tecnica più efficace, lasciano trasparire da un’espressione come quella dei kata, un’interpretazione personale piena di carisma e sacrificio, elementi che nutrono e valorizzano un karateka esperto.
Dunque possiamo affermare che lo studio dei kata rispecchia la formazione educativa indispensabile poi nella vita adulta, o in altre parole… nei bunkai.
Bunkai (applicazioni dei kata)
E’ fondamentale attribuire sempre il giusto valore alla pratica dei bunkai, innanzitutto come metodo di studio e di assorbimento di concetti, quali tecnica, difesa e attacco, autocoscienza, forza centrifuga e centripeta, e non ultimo di disciplina; ma soprattutto come percorso ideale (che arriva con la maturità) capace di condurre sino alla reale autodifesa.
La Federazione ha codificato una versione “base” dei diversi bunkai. Questo è un aspetto positivo se si considera che tutti i praticanti hanno la possibilità di partire dallo stesso punto. Un principio quest’ultimo da tenere in considerazione, e che si integra nel primo dei tre periodi temporali sostanzialmente definibili nella vita di un karateka, se oltre all’aspetto tecnico, consideriamo anche quello umano.
– Nel primo periodo si applicano le tecniche dei kata in forma “elementare”.
Attenzione però a non sottovalutare l’importanza di questa fase pensando magari di poterla aggirare, perché è soltanto grazie a una concezione logica e semplice del movimento che si ottiene un esercizio eseguibile da tutti i karateka; questo è il primo dei concetti che bisogna mettere a fuoco se ci si vuole elevare a partire da una solida base. Purtroppo è un principio non sempre applicato, a discapito del Karate-do, del karateka e dell’arte marziale in genere.
– Nel secondo periodo – quello più ampio secondo me rapportato alla vita – si applicano le tecniche delle diverse sequenze inserendo a mano a mano l’esperienza acquisita, col fine di avvicinare il kata e il suo bunkai sempre più alla realtà, soprattutto dal punto di vista della difesa da uno o più avversari.
Bisogna stare attenti, almeno durante la prima fase, a non uscire dal solco che delinea il contesto di un kata. Ad esempio, se un contrattacco per regola Federale è previsto jodan (alto) da parte di chi esegue il kata, lo stesso può anche tramutarlo in chudan (medio) secondo la statura di chi gli sta davanti; o ancora se una tecnica dell’avversario è prevista col braccio o la gamba destra, lo stesso potrà invertire il lato di attacco purché permetta a chi esegue il kata di rispettare il movimento voluto dalla codifica Federale.
Si esce invece dal solcato quando si mischiano le diverse sequenze o quando si aggiungono tecniche superflue rispetto alla logica del kata stesso.
Rimangono tuttavia fondamentali lo spirito, il cuore e la mente del karateka che, volenteroso di condividere i Kata e i loro Bunkai insieme ad altri, miscela la cultura di Karate-do e di vita comune, traendone benefici preziosi; ma soprattutto persegue la strada che lo porta alla conoscenza di se stesso e, non ultimo, alla socializzazione.
– Nel terzo periodo si dovrebbe vivere una fase particolarmente profonda sul piano dei sentimenti e delle emozioni, tuttavia si dice che tutto questo non dovrebbe trasparire dal nostro corpo. Si sostiene che quando si è davvero esperti non si senta il bisogno di mostrare la propria verità a tutti i costi, soprattutto se in noi è cosciente l’esistenza di forze vive che all’infinito generano e modificano gli eventi, la forma e la materia, e che fanno di una verità umana soltanto un frammento temporale di una realtà probabilmente infinita.
Con naturalezza ci si sente parte integrante di un’essenza, riconducibile alla “teoria del vuoto e del pieno” (Yin e Yang), nonché di quell’equilibrio che continuiamo ad assecondare e far vivere in noi senza scompensi o trambusti.
I movimenti si vivono con assoluta libertà: gli stessi che un tempo nascevano da una elaborazione razionale, oggi ci vengono dettati in maniera istintiva dall’anima ormai temprata e disinibita. Le sequenze che un tempo, seppur con sacrificio, ci erano servite ad irrobustire anima e corpo, oggi nascono senza alcuna forzatura visto che a questo punto fanno parte di noi.
Non esistono più le tecniche e nemmeno la “ragione” perchè ora siamo ad un livello elevatissimo, insomma tutto nasce e finisce nel vuoto, questo perché in fondo il vuoto identifica anche l’infinito senso della vita… la stessa vita della quale siamo ospiti e che per questo meriterebbe più rispetto e gratitudine da parte nostra.
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Come diceva il filosofo taoista Chuang-tzu:
“La Via comprende tutto in un’unità: quando c’è divisione, c’è definizione”
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Quanto scritto sino ad ora è soltanto frutto di un pensiero personale che non può e non vuole essere assoluto e definitivo, né tanto meno condiviso da tutti.
Mi auguro però che aiuti chi cerca di accettarsi nella propria viva incertezza, e magari che serva da stimolo a chi ha intrapreso o vorrebbe intraprendere l’Arte Marziale del Karate-do, e infine… che rechi dubbi alla mente (innocentemente ottusa) di chi crede sempre di stare seduto su di un piedistallo sicuro.
Sarebbe opportuno analizzare, parallelamente alla pratica, i canoni di vita che a volte ci vengono imposti e che altre ancora ci fa comodo accettare, ma che in ogni caso ci allontanano dalla strada che porta al nostro “io”, ovvero… alla nostra salvezza.
OSS! (Io passo attraverso la sofferenza)
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