di Marco Rosa

Questa riflessione parte da una semplice domanda, quando si pratica Karate-do?

La prima risposta, veloce e superficiale, è durante le lezioni in palestra. Però se questa domanda viene fatta durante uno stage o più nello specifico durante un raduno (visto che siamo di ritorno dalla quarta bellissima edizione del “Raduno delle Tigri e dei Tigrotti”), la risposta forse è più complessa.
Anche qui si potrebbe dire nei momenti in cui si entra sul tatami, ma ancora una volta risulterebbe una risposta superficiale. O meglio, ovviamente in quei momenti si sta praticando il Karate-do, ma sono i momenti in cui è più facile farlo, poiché ci sono dei Maestri, delle gerarchie e delle situazioni che in un certo senso ci obbligano a comportarci in un determinato modo; ma cosa succede durante gli spazi al di fuori dell’allenamento vero e proprio? Io penso che lì si pratichi un Karate-do ancora più difficile. Infatti risulta essere molto più difficile applicare certe regole al di fuori del Dojo, ma non perché siano regole impraticabili o assurde, semplicemente perché durante i momenti di svago è più difficile sapersi controllare. Bisogna saper mantenere il proprio equilibrio interiore sia nelle situazioni tristi che liete (niente di nuovo, visto che questo si ripete alla fine di ogni lezione nel Dojo-kun) ed è facile farsi prendere dall’entusiasmo, dall’allegria o talvolta dalla rabbia che ci si dimentica come certe regole fondamentali vadano sempre rispettate.
Infatti il Karate-do non da poteri miracolosi, se per questi si intende camminare sui soffitti, arrampicarsi sui palazzi o rompere qualsiasi cosa con un semplice gesto, ma ci fornisce poteri molto più “normali”, ma nella società di oggi fondamentali come l’educazione, il rispetto, il sacrificio, il controllo di noi stessi. È molto più difficile arrivare a conoscere un limite del nostro Io e superarlo piuttosto che rompere un mattone. Lavorare sui dettagli, sui particolari a cui la maggior parte delle persone non da peso, questo distingue un karateka.
Questa doppia sfera del Karate-do si nota benissimo durante stage o raduni, ma anche durante le “pizzate” e in tutti quei momenti in cui alla consueta pratica vengono affiancati momenti della vita quotidiana, in cui bisogna continuare ad essere karateka! Questo è molto importante perché con l’acquisizione di un certo controllo di se stessi si riescono a vivere questi momenti nel migliore dei modi e si valuta ancor di più l’importanza di certi fondamentali che vengono praticati nel Dojo.
Ovviamente durante gli allenamenti se l’atteggiamento è passivo, tutto risulta pesante, noioso e “inutile”, perché poi ci viene sempre detto, giustamente, di non usare le tecniche che impariamo a lezione. Quindi non avrebbe altro scopo che allenare il fisico. Ma se l’atteggiamento è attivo, davvero si possono imparare cose su noi stessi molto importanti e si può migliorare, perché il primo passo per migliorarsi è conoscere cosa non va bene, e solo con il continuo studio e perfezionamento di noi stessi attraverso le tecniche possiamo arrivare a migliorarci sia come karateka che come persone.
Secondo me è importante che chiunque pratichi karate in modo sentito si ricordi sempre di essere un karateka in ogni situazione, e in ogni momento difficile basterà un Oss! per superare certe situazioni. Il Karate-do insegna a gestire noi stessi e questo significa sapersi adattare e comportare davanti a qualsiasi cosa. Sembra una banalità, una cosa semplice, ma arrivare davvero a sapersi gestire in ogni situazione è davvero difficile. Il mondo esterno ci mette ogni giorno davanti ad avvenimenti in cui mettere in atto ciò che si impara durante la pratica in palestra (ovviamente non parlo di calci e pugni) e ci fa capire come per raggiungere obiettivi veri e duraturi sia necessario lavorare con sacrificio, costanza e dedizione. Il Karate-do è come una strada da percorrere e anche se tortuosa, perché certo non è una strada facile, porterà a destinazione: la conoscenza di se stessi, dei propri limiti e delle proprie possibilità, ma anche delle proprie risorse. Sarebbe molto più facile percorrere strade diritte, ma si sa che per salire in cima alle montagne non esistono strade senza curve.

Tornando più da vicino al 4° “Raduno delle Tigri e dei Tigrotti”, innanzitutto bisogna ringraziare chi ha permesso la riuscita di questo evento per il quarto anno consecutivo e mi sento anche di dedicare un pensiero a quelle persone che sono state obbligate a non partecipare. Questo Raduno ha, in piccolo, dimostrato come un karateka deve sapersi adattare ad ogni situazione: traffico, maltempo e spazi più ridotti per gli allenamenti. Certo, niente di insuperabile, però saper reagire nel modo e nei tempi giusti ha fatto si che da ogni situazione ne sia venuto fuori il meglio possibile. Anche durante questo evento è emersa la forza del gruppo: una sempre maggiore integrazione fra allievi dell’Heijo Shin Dojo e Honbu Dojo; una maggiore coesione fra allievi della stessa palestra, perché queste situazioni danno la possibilità di conoscersi, confrontarsi e migliorare quella conoscenza creatasi durante le lezioni tradizionali.
Da questi eventi si viene sempre a casa con un qualcosa in più nella valigia, qualcosa di intangibile, ma che resta dentro e che alimenta quel fuoco che brucia dentro a chiunque abbia una passione, nel mio caso il Karate-do. Spiegare precisamente cosa sia non è facile, è una sorta di gratitudine, di appagamento, di felicità ma allo stesso tempo ti lascia quella voglia di impegnarti ancora di più, di andare più a fondo, di metterci ancora maggiore determinazione, volontà e impegno. Forse a parole non l’ho spiegato bene, ma sicuramente chi l’ha vissuto capisce quello che voglio dire.

L’ultimo (non per importanza) ringraziamento va a chi ha ideato e voluto questo raduno, a quella persona che dà le linee guida e che è riuscito a trasmetterci la sua passione per il Karate-do e il suo modo di fare Karate-do, ovvero al Maestro che da sempre è un esempio per ogni suo allievo.

Oss!

Marco Rosa
Allievo dell’Heijo Shin Dojo

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