di Carmelo Schetto

 

Ci si allena a vivere giorno per giorno in modo attivo e non passivo”

Sarebbe limitativo definire il Karete-do solo come “calci e pugni”, mentre, invece, questi sono solo alcuni dei tanti elementi, che, per la ricerca del proprio equilibrio, troveremo percorrendo la via del Karatedo.

Al principio della mia pratica, mi fu spiegato il significato del termine “OSS” e capii che attraversare la sofferenza volesse limitarsi più ad un discorso fisico, allenamenti duri, percosse subite sul proprio corpo ecc.; poi, col tempo, ho capito che il Karate-do è un allenamento costante che ci può aiutare ad affrontare eventuali situazioni difficili che la vita, prima o poi, ci presenta, usando come mezzo, quello che è stato l’allenamento quotidiano nel cercare di “attraversare o resistere alla sofferenza”.

Spesso l’occasione per provare e cercare di rendere proprio questo modo di essere e di agire, dipende, purtroppo, dal proprio destino, in quanto, solo chi avrà la “sfortuna” di vivere situazioni avverse, di qualsiasi natura esse siano ma tali da portarci al “nostro” limite di sopportazione psico-fisico, potrà mettersi veramente alla prova.

Il Karate-do è un continuo allenamento al sacrificio.
Quando ci si trova a dover affrontare situazioni non particolarmente difficili, ci si mette alla prova in modo relativo, non completamente.
Nel momento in cui non siamo più motivati e non siamo più  supportati dalle energie, allora, è proprio in quel momento che verificheremo, realmente, la nostra resistenza.
In quel caso, quando si è costretti a scavare dove non c’è più niente da scavare si può realmente constatare quanta forza abbiamo. Un individuo che affronta una situazione pericolosa senza avere la reale visione del pericolo, non si potrà ritenere una persona coraggiosa, ma solo una persona incosciente e sprezzante del pericolo a cui sta andando incontro; colui che, invece, è consapevole di ciò e dunque sa che rischi corre ma decide comunque di affrontare la situazione  pericolosa nonostante la paura, in questo caso sarà coraggioso ed “il mettersi alla prova” non sarà unicamente un concetto teorico, ma affrontando un percorso difficile, si troverà davanti al grande muro delle vicissitudini e della sofferenza, dove, solo accettando un Kumite (più morale che fisico), avrà la possibilità di cercare “di attraversare la sofferenza” con tutte le sue forze conquistate grazie al costante allenamento del Karate-do; solo a quel punto potrà capire il “suo limite” che servirà come “reale” ed ennesimo punto di partenza per la continua crescita personale.

In questo senso, per assurdo,  si potrà testare la propria “resistenza” alla sofferenza, solo se, nella vita, si sarà un po’ “sfortunati”, arrivando però, alla consapevolezza dell’effettivo livello personale di Karate-do.

Ma allora a cosa servono i calci ed i pugni?

Oltre a migliorare la propria difesa personale e la capacità tecnica, con un continuo esercizio fisico, permette di migliorare il proprio autocontrollo, praticando un allenamento sano, continuo e quotidiano che ci costringe  ad accettare un limite ai nostri colpi ed, allo stesso tempo, ci porta a ricercare il controllo di noi stessi e del nostro istinto, che ci permetterà di  avere la capacità di fermarsi al momento giusto e di accrescere il nostro “autocontrollo”.
Questo “fermarsi al momento giusto” non dovrà, però, rallentare lo studio della tecnica perché è proprio grazie alla costante ricerca della crescita che si potrà sperare di giungere ad una evoluzione della tecnica, in grado di compensare le carenze fisiche dovute all’invecchiamento del corpo.
Lo studio è soprattutto quello personale, perché il Karate-do è una disciplina uguale per tutti, ma che dà ad ognuno sensazioni diverse.

All’interno di un Dojo, infatti, come nella società esterna, si vivono le molteplici sfaccettature mostrate dagli atteggiamenti dei vari karateka.
Spesso si possono percepire dal modo di praticare Karate le sfumature caratteriali di un singolo individuo, marcando, appunto, le diverse personalità; c’è chi ostenta più sicurezza, più arroganza, più altruismo, più dedizione e pignoleria, o più, semplicemente, superficialità. Tutto questo lo possiamo ritrovare in diversi contesti, anche in quello lavorativo, per esempio.

In conclusione, ciò che reputo essere il Karate-do in questo momento della mia vita può essere paragonato ad un grande libro che per la sua complessità non può essere letto una sola volta, ma, al contrario, riletto in momenti diversi del nostro percorso ci porta ad avere sempre una maggiore consapevolezza di ciò che stiamo leggendo ed, in alcuni casi, a rivedere ed a mettere in discussione delle posizioni che prima ritenevamo essere delle certezze.

Oss!

Carmelo Schetto
Allievo dell’Heijo Shin Dojo

 

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